Leggio da tavolo poggiante su base circolare e sorretto da un fusto centrale, nel quale si innesta l’asta di regiolazione dell’altezza, con congegno meccanico per inclinare il leggio in ottone con parti in acciaio azzurrato, così come il ferma spartito sul fronte. L’opera è interamente lavorata con la tecnica “Boulle”: la struttura in legno di conifera è interamente intarsiata, sul fronte, basamento e fusto, in ottone e lega di stagno, su fondo di radica di erica. La parte posteriore è impiallacciata in legno scuro, con filettature in ottone.
Come spiega Simone Chiarugi nella sua perizia, il leggio costituisce un unicum nel suo genere, probabilmente realizzato su una precisa committenza per essere donato. I motivi decorativi intarsiati consentono di datare l’opera all’inizio del XVIII secolo.
Essi richiamano le note incisioni di Jean Bérain e quelle meno conosciute di Pierre Bordon, pubblicate a Parigi verso il 1703. Certamente più pertinenti al nostro leggio sono le serie di acqueforti uscite a Norimberga di Paul Decker il giovane. Sono possibili dei confronti con altri manufatti la cui realizzazione deve essere circoscritta alla Germania meridionale, come una coppia di torciere appartenenti alla Collezione Liechtenstein o un cofanetto (recentemente passato in asta) firmato dall’ebanista Johann Puchwiser, attivo a Monaco di Baviera. Per questi raffronti possibili, riteniamo che anche la realizzazione del nostro leggio debba essere attribuita a un ebanista di lingua tedesca, attivo forse a Monaco di Baviera o a Vienna.
Interessante precisare che, oltre essere un oggetto decorativo, il leggio doveva essere anche impiegato per la sua funzione originiaria, come attesterebbero i piccoli avvallamenti puntiformi nella zona centrale, segno del picchiettare di una bacchetta, per puntualizzare sullo spartito musicale.
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