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Davide e Abigail Vincent Malò, quarto decennio del XVII secolo

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Descrizione

Il dipinto, realizzato ad olio su tela, raffigura l’incontro tra re Davide e Abigail, secondo quanto narrato nel testo biblico del Primo libro di Samuele (I Samuele 25, 1-34).
Davide, rimasto senza cibo nel deserto con il suo esercito, chiede soccorso al ricco Nabal, il quale gli nega sprezzante qualsiasi aiuto, irriconoscente della benevolenza ricevuta precedentemente dal re. All’udire il rifiuto, il sovrano intende vendicarsi uccidendo tutta la sua stirpe. Abigail, la bella e saggia moglie di Nabal, decide di riparare il torto e portare a Davide cibo e doni in abbondanza. Al cospetto del re la donna si umilia, conquistandone il perdono e la benevolenza. Rimasta poco dopo vedova, diverrà infatti la sua sposa.

L’ampia scena descrive il culmine dell’episodio veterotestamentario, il momento in cui la donna si prostra davanti a Davide e i suoi servitori si apprestano a consegnare i doni.
L’evento biblico è qui pretesto, come consuetudine della pittura dell’età moderna, per mettere in scena la variopinta descrizione di un corteo sontuoso, che si può suddividere in due parti, quasi due ali di folla ripartite specularmente: a sinistra Davide con i suoi dignitari e l’esercito; dall’altra il seguito di Abigail, le ancelle, i servitori che conducono i dromedari e gli asini carichi di cibarie.

Il gruppo affollato di figure è inserito in un proscenio naturale: sopra un basso orizzonte, appena accennato da lontane montagne azzurre, si innalza sul lato sinistro una rocciosa rupe scoscesa, il riparo dell’esercito guidato dal sovrano.

L’ intonazione somatica dei personaggi, così come la scelta di cromatismi metallici e i giochi di luce sulle stoffe lucenti rimandano ad una chiara matrice fiamminga, in particolare all’influenza della pittura spumeggiante e sontuosa di Rubens e Van Dyck.

Come ben esposto nella perizia redatta dal professor Giuseppe Sava, l’opera è da attribuire a Vincent Malò, pittore originario di Cambrai (la data di nascita oscilla tra il 1602 e il 1606, muore a Roma nel 1644) che si formò ad Anversa, come allievo di David Teniers il Vecchio, ma che dopo il 1634 si trasferì a Genova, dove la sua presenza è ripetutamente documentata nel corso del quarto decennio, non solo dall’abbondante numero di commissioni e di opere firmate, ma anche dal suo ruolo come precettore di Anton Maria Vassallo.

Nel dipinto qui proposto si ritrovano alcuni dei caratteristici stilemi pittorici del Malò, di impronta fieramente fiamminga nella sostanza, in particolare in alcuni tratti somatici, nelle scelte cromatiche, nell’ambientazione paesaggistica, che si ritrovano in diverse sue opere: la predilezione per soluzioni ridondanti e scenografiche che sviluppano in chiave personale la voga introdotta ad Anversa come a Genova da Antoon Van Dyck; le tonalità brune e terrose in contrasto con gli incarnati chiari e diafani delle figure; e ancora la disposizione dei drappeggi ambrati che riflettono la luce o la connotazione dei visi dal naso allungato; ed infine la sensibile resa atmosferica del paesaggio, con cieli fatti da mescolanze di grigio e azzurro, interrotti da irti pareti rocciose contro le quali spiccano le figure.

Il dipinto è accompagnato dalla perizia del dottor Giuseppe Sava

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